CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E MODELLO ORGANIZZATIVO 231: QUALI PUNTI DI CONTATTO?

 

Come noto, l’art. 375 del Codice della Crisi d’Impresa (D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), ha modificato la rubrica dell’art. 2086 cod. civ. – prima” Direzione e gerarchia dell’impresa”, ora “Gestione dell’impresa” – ed introdotto, sempre nel citato articolo, il comma secondo, così formulato: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Un emendamento che va ben oltre il valore meramente lessicale della nuova formulazione e che rappresenta, nell’ottica delle finalità perseguite dal Legislatore della crisi d’impresa, una pietra miliare del nuovo (necessario) assetto dell’impresa.

La terminologia giuridica è, invero, chiara nell’introdurre un preciso dovere per l’imprenditore (non individuale, per il quale vale l’art. 3 del C.C.I.) di adottare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, volti al monitoraggio dello “stato di salute” dell’impresa, in funzione della prevenzione di situazioni che potrebbero determinare la crisi dell’impresa medesima e la sua successiva insolvenza.

Numerosi i contributi intervenuti in questi anni ad interpretazione della ratio legislativa sottesa al C.C.I. (prevenire la crisi dell’impresa al fine del suo recupero e non espulsione dal mercato).

In questo breve scritto, ci si limita ad indagare se l’utilizzo della congiunzione “anche”, nel ricordato comma secondo dell’art. 2086 cod. civ., traghetti il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D. Lgs. 231/2001 nella categoria dei successivamente citati “strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Domanda a cui pare possibile dare una risposta positiva, ove si considerino le affinità tra il C.C.I. ed il MOG 231.

Ed invero, sia il D. Lgs. 14/2019 che il D. Lgs. 231/2001 postulano:

  • La necessità di un ripensamento della governance societaria finalizzata all’efficace gestione anticipata del “rischio”, rappresentato dall’insorgenza di una crisi nel C.C.I. e dal compimento di un reato c.d. presupposto nella disciplina 231;
  • La punizione della “colpa d’organizzazione”, vista come violazione del dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa nel C.C.I. e come mancato impedimento del reato c.d. presupposto quanto alla normativa sulla responsabilità amministrativa dell’ente;
  • La presenza di un organo di controllo, espresso dal sindaco o dal revisore dei conti nel C.C.I. e dall’Organismo di Vigilanza nel D. Lgs. 231/2001;
  • L’introduzione di “procedure di allerta”, individuabili in strumenti funzionali alla tempestiva emersione degli indizi di crisi dell’impresa e alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione quanto al C.C.I. e nei flussi informativi verso l’ODV nella normativa 231;
  • La previsione di benefici in caso di adozione dei controlli preventivi (misure di alert o MOG), nello specifico costituiti da misure premiali quali indicate nel C.C.I. (interessi su debiti tributari ridotti alla misura legale, sanzioni ed interessi su debiti tributari ridotti alla metà nell’eventuale successiva procedura di regolazione della crisi, proroga del termine fissato per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti pari al doppio di quella ordinaria, solo per citarne alcune) e nella esenzione da responsabilità amministrativa dell’ente nel D. Lgs. 231/2001.

I diversi punti di contatto sopra indicati, in sostanza, consentono di identificare nel MOG 231 uno degli strumenti (non di certo l’unico) “ … previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”, proprio per la sua capacità intrinseca di svolgere quell’azione di monitoraggio che, pur diversamente finalizzata (evitare la commissione di reati presupposto), può consentire all’impresa di individuare in anticipo le aree di criticità dove più è possibile che venga a formarsi la crisi d’impresa.

Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla funzione della compliance 231 sui reati di False comunicazioni sociali (art. 2621 cod. civ.), di Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627 cod. civ.), di Corruzione tra privati (art. 2635 cod. civ.), di Riciclaggio (648 cod. pen.) ed Autoriciclaggio (art. 648 ter cod. pen.), quali reati che, spesso prodromici alla commissione di reati fallimentari, ben possono segnalare le difficoltà (rectius: la crisi) dell’impresa.

Quindi: prevenire la commissione dei reati presupposto, con l’adozione e l’attuazione di un adeguato Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, può consentire di prevenire la crisi.

Tant’è che da più parti si sta parlando dell’adozione di un Modello Unico nel quale trasfondere tanto il MOG 231, quanto le procedure di allerta previste dal C.C.I..

All’esito di quanto sopra, non pare così lontana la possibilità di considerare l’adozione del MOG 231 come un “obbligo” non codificato per l’impresa che voglia adeguarsi alle previsioni di cui al C.C.I..

Saluzzo, lì 20 maggio 2021

Avv. Monica Binello

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L’utilità del Modello 231 nell’ambito del Rating di Legalità

 

Il Rating di Legalità è uno strumento sviluppato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), in accordo con i Ministeri degli Interni e della Giustizia, volto a misurare il rispetto in ambito aziendale di elevati standard di legalità e dei principi di comportamento etico.

È stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 5-ter del D. L. 1/2012 e, in concreto, riconosce premialità alle aziende che operano secondo i principi di legalità, trasparenza e responsabilità sociale. Si traduce nell’assegnazione alla società di un titolo di riconoscimento, commisurato attraverso l’utilizzo di “stellette” indicative del livello di compliance adottato.

Le società che conseguono il Rating di Legalità possono fruire di vantaggi che vanno dal piano reputazionale ai benefici previsti in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e delle banche.

In particolare, nel rapporto con gli Istituti di Credito, l’art. 5-ter del citato D.L. 1/2012 prevede che “del Rating attribuito si tiene conto […] in sede di accesso al credito bancario”.

Per l’effetto, l’attribuzione del Rating comporta una concreta riduzione della tempistica e degli oneri di competenza nelle richieste di finanziamento, e/o la variazione della determinazione di talune condizioni economiche dell’erogazione, in base a quanto stabilito dal Decreto MEF-MISE 20 febbraio 2014, n. 57.

Con delibera n. 28361 del 28 luglio 2020 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 529 del 19 ottobre 2020,) l’AGCM ha operato alcune modifiche al Regolamento attuativo in materia di Rating di Legalità.

Ai fini che qui interessano, il richiamato documento ha nuovamente confermato la stretta sinergia tra Il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, previsto dal D. Lgs. 231/2001, ed il Rating di Legalità, entrambi definibili come interventi che tendono a promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali.

Nello specifico, l’AGCM ha previsto l’incremento di un + (più) del punteggio in caso di adozione da parte della società di un Modello 231, comprensivo di Codice Etico, di un Organismo di Vigilanza e di un sistema disciplinare.

Ciò, tenuto conto del fatto che il Modello consente alla società ed agli enti di compiere una investigazione conoscitiva dei processi aziendali, con l’obiettivo di contenimento, se non di eliminazione, dei profili di rischio.

I valori etici e di legalità contenuti nel Modello 231 vengono, dunque, valorizzati dalla richiamata delibera, operando come elemento di reward per quelle società ed enti che ambiscono all’attribuzione di un Rating di Legalità più elevato, con conseguenti riflessi in termini di una maggiore credibilità in sede di accesso ai finanziamenti pubblici e privati e nell’ottenimento di vantaggi competitivi ed economici.

Saluzzo, 12 aprile 2021

Avv. Monica Binello

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WHISTLEBLOWING: TRA LA NUOVA DIRETTIVA EUROPEA E LA COMPLIANCE 231

 

 

Il whistleblowing, per definizione, è la segnalazione compiuta da un dipendente ad una serie di soggetti (Autorità Giudiziaria, Corte  dei  conti, Autorità Nazionale Anticorruzione, Responsabile anticorruzione all’interno del proprio Ente/Azienda), avente ad oggetto l’esistenza di pericoli sul posto di lavoro che possono comportare o tradursi in irregolarità e/o in illeciti di natura penale (frodi all’interno, ai danni o ad opera dell’organizzazione, danni ambientali, false comunicazioni sociali, negligenze mediche, illecite operazioni finanziarie, minacce alla salute, casi di corruzione o concussione, ecc.).

La nozione risale alla L. 90/2012 (c.d. Legge Anticorruzione), che, introducendo l’art. 54-bis nel D. Lgs. 165/2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della amministrazioni pubbliche), ha previsto la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

Con la successiva L. 179/2017, l’art. 54-bis è stato nuovamente modificato, stabilendo che le disposizioni dettate valgano non solo per tutte le amministrazioni pubbliche (inclusi gli enti pubblici economici e quelli di diritto privato sotto controllo pubblico), ma anche per le imprese che forniscono beni e servizi alla Pubblica Amministrazione, allargando al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al Modello di Organizzazione e Gestione ex D. Lgs. 231/2001 adottato dall’Ente, di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio.

Ad oggi, la norma tutela i lavoratori che attuano segnalazioni di reati o anomalie riscontrate durante un rapporto di lavoro pubblico o privato (con misure quali la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno); difende il segnalante (c.d. whistleblower) da atti di discriminazione o ritorsioni come sanzioni, licenziamenti o trasferimenti non giustificati (con sanzioni applicabili nel caso in cui il segnalante subisca atti discriminatori) e, non da ultimo, difende chi ha subito segnalazioni poi dimostratesi infondate.

L’applicazione del whistleblowing al settore privato ha reso necessaria una modifica della disciplina della Responsabilità Amministrativa degli Enti, nel senso di introdurre nei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo (ai sensi del novellato art.  6 del D. Lgs. 231/2001 e dei suoi tre nuovi commi 2-bis, 2-ter e 2-quater) l’obbligo di previsione di uno o più canali che consentano di veicolare segnalazioni circostanziate di condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto o di violazioni del Modello adottato dall’Ente, di cui i segnalanti – soggetti in posizione apicale o sottoposti all’altrui direzione – siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte.

Il sistema whistleblowing, dunque, viene considerato un formidabile strumento di prevenzione di illeciti commessi all’interno dell’Ente, la cui istituzione è raccomandata a tutela dell’integrità dell’Ente stesso.

In detto panorama, il 26 novembre 2019 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva (UE) 2019/1937, entrata in vigore il 16.12.2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni, con l’obiettivo di garantire uno standard europeo per la protezione del whistleblowing.

Entro il 17.12.2021, tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea hanno l’obbligo di recepire la direttiva nella propria legislazione nazionale, prevedendo l’istituzione di canali e procedure per la segnalazione degli illeciti.

Diversi gli aspetti di rilievo della direttiva.

Tra i principali:

  • l’obbligo di istituire canali di segnalazione interni progettati, realizzati e gestiti in modo sicuro e tale da garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, nonché di eventuali terzi citati nella segnalazione (con evidenti riflessi sul GDPR);
  • i canali di segnalazione potranno essere gestiti da un servizio esterno, purché offra adeguate garanzie di indipendenza, riservatezza, protezione dei dati e segretezza;
  • entro sette giorni il segnalante deve ricevere un avviso circa il ricevimento della segnalazione stessa e le procedure devono prevedere un termine ragionevole (non superiore a tre mesi) per dare un riscontro alla segnalazione;
  • gli obblighi riguarderanno, oltre ai soggetti giuridici del settore pubblico (compresi i comuni con più di 50 dipendenti o con più di 10.000 abitanti), anche i soggetti privati con più di 50 dipendenti ed i soggetti privati con meno di 50 dipendenti se operanti nel mercato dei servizi finanziari e bancari;
  • l’applicazione del sistema whistleblowing per tali Enti prescinde dall’adozione del Modello 231;
  • si prevede che la segnalazione possa pervenire non solo dal dipendente pubblico o privato (se rientrante nelle categorie sopra indicate), ma, altresì, da un ampio ventaglio di soggetti, fra cui i lavoratori interinali, consulenti esterni, fornitori, stagisti e volontari;
  • è necessario conservare la documentazione relativa a tutte le segnalazioni, nonché assicurare che ogni segnalazione sia consultabile e che le informazioni ricevute possano, se del caso, essere utilizzate come elementi di prova;
  • è vietata qualsiasi forma di ritorsione, comprese le minacce e i tentativi di ritorsione quale, per esempio, il licenziamento, l’imposizione di misure disciplinari, l’inserimento in liste nere, l’annullamento di licenze o permessi, i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media o la sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

All’esito, residua il forte dubbio circa la posizione dei soggetti che, all’interno o all’esterno dell’Ente, riceveranno dal whistleblower segnalazioni di fatti di reato. Saranno tenuti (pena, in difetto, la loro responsabilità penale) a trasmettere dette segnalazioni all’Autorità Giudiziaria?

La risposta si avrà solo (forse) con la normativa di recepimento della direttiva da parte del legislatore italiano.

Saluzzo, 8 aprile 2021

Avv. Monica Binello

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AMMESSA LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE CONTRO L’ENTE IMPUTATO EX D. LGS. 231/2001. NUOVA COMPLICAZIONE PER LE AZIENDE?

 

L’ampiamente discussa questione circa l’ammissibilità o non della costituzione di parte civile nel procedimento penale contro l’ente “imputato” pareva definitivamente risolta in senso negativo con le pronunce della Suprema Corte (Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 22512) e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (12 luglio 2012 n. C-79/113).

Per contro, detto quesito trova oggi, nella recentissima ordinanza 29.01.2021 del Tribunale di Lecce, un nuovo ed argomentato sostegno.

Il citato Tribunale, ha infatti, ritenuto “di aderire all’indirizzo che ammette la possibilità per il danneggiato di avanzare la propria pretesa risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente, nell’ambito del processo penale instaurato anche nei confronti della persona giuridica, per accertare a suo carico la responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente da reato”.

A tale conclusione il Giudice Monocratico giunge in forza di plurime ragioni, superando, anzitutto, l’obiezione per cui la mancata previsione della costituzione di parte civile nel D. Lgs. 231/2001 rappresenti una “precisa scelta legislativa”, ritenendo tale asserzione “non decisiva”: il Tribunale osserva, infatti, che “il rinvio operato dagli artt. 34 e 35 del D. Lgs. 231/2001 consente l’estensione al procedimento degli illeciti amministrativi dipendenti da reato delle norme di procedura penale in quanto compatibili e l’estensione all’ente della disciplina relativa all’imputato, sempre in quanto compatibile”.

Il problema è, quindi, ancora dibattuto, potendosi trovare, pur dopo gli interventi citati in apertura, giurisprudenza di merito che ora consente e ora nega detta possibilità (in detto secondo senso si veda: GUP Milano, Ordinanza, dep. 2 febbraio 2021).

In questo scenario di incertezza, l’argomento dirimente può essere rappresentato dalla estrema e concreta difficoltà di determinare i danni per il cui ristoro va ad ammettersi la costituzione di parte civile.

Si ritiene, infatti, che tale danno non possa coincidere con quello cagionato dal reato commesso dalla persona fisica, vero che, di detto, l’Ente potrà essere chiamato a rispondere come responsabile civile ex art. 2049 cod. civ..

Ammettendo la costituzione di parte civile conto l’Ente il rischio che si corre, dunque, è di determinare una duplicazione del risarcimento: fatto questo che, oltre all’obiettivo ed ingiusto aggravio per l’Ente, si pone in aperta violazione del principio per cui nessuno può lucrare due volte per lo stesso fatto.

Nell’attesa di un (auspicabile) intervento chiarificatore da parte del Legislatore (con una modifica del D. Lgs. 231/2001) o della Corte di Cassazione, emerge nuovamente l’importanza per l’imprenditore di attenzionare le aree a rischio reati ex D. Lgs. 231/2001, onde scongiurare procedimenti penali nell’ambito dei quali il problema qui discusso potrebbe essere risolto anche nel senso di ammettere la costituzione di parte civile della persona offesa avverso l’Ente.

Saluzzo, 2 aprile 2021

Avv. Monica Binello

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LE NUOVE FRONTIERE DELL’IMPRENDITORE: IL DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE DEL LAVORATORE E LA SUA PREVISIONE NEL CODICE ETICO

 

 

 

Il diritto alla disconnessione, per definizione, è il diritto del lavoratore a non essere reperibile al di fuori dell’orario di lavoro.

In altri termini, si configura come il diritto del dipendente a disconnettersi dall’ambiente lavorativo, senza subire conseguenze negative sullo stipendio o sul proseguimento del contratto in caso di mancata risposta.

Aspetto, questo, portato alla ribalta dallo smartworking, forma di lavoro a distanza che il COVID-19 ed i diversi lockdown hanno reso di capillare utilizzo.

Il diritto alla disconnessione trova il suo primo (ed allo stato ancora grezzo) riconoscimento nell’art. 19 della L. 81/2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato), dove si legge che “L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché’ le misure tecniche e  organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

Una recente indagine ha consentito di appurare che chi svolge regolarmente smartworking ha il doppio delle probabilità di lavorare oltre l’orario massimo stabilito rispetto a coloro che non lo fanno.

Tuttavia, il diritto alla disconnessione è concetto che trova applicazione anche oltre al lavoro agile e che permea tutte le figure di lavoratori (compresi i liberi professionisti), sempre costantemente raggiungibili attraverso le nuove tecnologie, con mail e messaggistica varia.

Sul punto, è recentemente intervenuto il Parlamento Europeo che, in data 21.01.2021, ha richiesto alla Commissione Europea un intervento normativo specifico, tale da permettere ai lavoratori di disconnettersi al di fuori dell’orario di lavoro, stabilendo delle regole base da rispettare nel caso di lavoro da remoto e prevedendo, altresì, che i datori di lavoro non possano chiedere ai propri dipendenti di essere disponibili al di fuori del loro orario lavorativo e che i collaboratori evitino di contattare i colleghi per motivi di lavoro quando non sono disponibili.

È stato, infatti, sottolineato che le interruzioni al tempo di riposo e l’estensione delle ore lavorative rischiano di provocare un impatto negativo sulla salute, sull’equilibrio tra vita privata e professionale e sul riposo.

In questo contesto, l’introduzione del diritto alla disconnessione fra le previsioni del Codice Etico aziendale rappresenta un’opportunità da cogliere per quegli imprenditori che, con un deciso scatto in avanti, intendono salvaguardare il benessere di tutti i lavoratori e collaboratori dell’azienda ovunque il lavoro sia svolto.

 

Saluzzo, 30 marzo 2021

Avv. Monica Binello

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LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DELLE SOCIETA’ E DEGLI ENTI EX D. LGS. 231/2001 A 20 ANNI DALLA SUA ENTRATA IN VIGORE

 

Con il Decreto legislativo 08.06.2001 n. 231 (pubblicato sulla G.U. del 19.06.2001) è stata introdotta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa per società, enti e organizzazioni, con o senza personalità giuridica, che, a discapito della dicitura (“responsabilità amministrativa”) utilizzata dal Legislatore, ha natura intrinsecamente penale, riconducibile alla struttura della responsabilità commissiva mediante omissione, ex art. 40 co. II cod. pen., e, segnatamente, da culpa in vigilando (ex art. 2049 cod. civ.) o “colpa di organizzazione”.

Per la prima volta, quale eccezione al noto brocardo “societas deliquere non potest”, è stata prevista la punibilità, a titolo colposo, delle persone giuridiche, società ed associazioni, per reati commessi da una persona fisica, a vantaggio o nell’interesse dell’Ente. Il tutto, in linea con quanto già previsto in altri paesi Europei, nell’ottica di una maggiore sensibilizzazione alla prevenzione dei reati commessi dai cd. “colletti bianchi”.

La sanzioni a carico dell’Ente sono di ordine prettamente pecuniario, secondo un sistema espresso in quote, il cui valore può variare, ai sensi dell’art. 10 ss. D. Lgs. 231/2001, da un minimo di euro 258,228, ad un massimo di euro 1.542,37; l’importo della quota è fissato ed è determinato, ai sensi del successivo art. 11, in base alle condizioni economico patrimoniali dell’Ente; la sanzione è comminata dal Giudice penale per un importo non inferiore a 100 quote e non superiore a 1.000 quote in base (i) alla gravità del fatto, (ii) al grado di responsabilità dell’Ente ed (iii) all’attività svolta per eliminarne o attenuare le conseguenze del fatto medesimo. In ogni caso, la sanzione non può essere inferiore ad euro 10.329,00.

Nei casi più gravi, alle sanzioni pecuniarie possono accompagnarsi sanzioni interdittive (interdizione dall’esercizio dell’attività, revoca delle licenze, divieto di contrattare con la P.A., esclusione da agevolazioni e finanziamenti, divieto di pubblicizzare beni e servizi), e, nei casi limite, il commissariamento dell’Ente.

Trascorsi 20 anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 231/2001, può oggi osservarsi l’estrema propensione di detta normativa a raccogliere le sempre maggiori istanze di prevenzione e controllo nella commissione di reati, attraverso la sua implementazione e l’estensione della sua portata in ambiti diversi – seppure collegati – rispetto a quello prettamente giudiziale, quale originariamente previsto.

Nello specifico:

La considerevole estensione del catalogo dei reati presupposto (definibili come i reati che, ove commessi, possono comportare – in presenza di determinate condizioni – l’applicazione delle ricordate sanzioni a carico dell’Ente), giunti – con la recente introduzione dei reati tributari operata dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157 e, da ultimo, dei reati di contrabbando di cui al Decreto Legislativo 14 Luglio 2020 n. 75 – a circa 200 fattispecie penalmente rilevanti.

Peraltro, l’ampliamento delle ipotesi di reato è destinato a proseguire, considerato che in data 11 novembre 2020 è stato pubblicato sul sito della Camera dei Deputati un fascicolo relativo al Disegno di Legge (AC 2427), denominato “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, presentato alla Camera il 6 marzo 2020 ed assegnato alla Commissione Giustizia per l’esame, in sede referente, lo scorso 23 aprile 2020.

L’art. 5 del sopra citato Disegno di Legge è destinato a contrastare il fenomeno della crescente commissione di illeciti nell’ambito della produzione e commercializzazione di beni alimentari, con particolare riferimento alle organizzazioni complesse ed alla responsabilità delle persone giuridiche, attraverso la modifica di talune fattispecie delittuose, tra cui quelle di avvelenamento di acque o sostanze alimentari (art. 439 cod. pen.) e di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 cod. pen.), e con la introduzione di altre, quali “importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita o distribuzione di alimenti, medicinali o acque pericolosi” (art. 440-bis cod. pen.), “omesso ritiro di alimenti, medicinali o acque pericolosi, di informazioni commerciali ingannevoli o pericolose” (art. 440-ter cod. pen.) e disastro sanitario (art. 445-bis cod. pen.).

La riforma comporterà una ristrutturazione della parte speciale del D. Lgs. 231/2001 attraverso la separazione dell’art. 25-bis.1 in tre nuovi e distinti articoli e precisamente:

  • Art. 25-bis.1, dedicato – come già attualmente – ai “Delitti contro l’industria e il commercio”;
  • Art. 25-bis.2 rubricato “Delle frodi in commercio di prodotti alimentari”;
  • Art. 25-bis.3 rubricato “Dei delitti contro la salute pubblica”.

⇒ Ancora in materia di reati agroalimentari si segnala come il Governo Draghi, lo scorso 19 marzo, abbia emesso un decreto legge allo scopo di evitare l’abrogazione di fattispecie di reato previste dalla L. 283/1962 (recante la “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”), quale prevista dal Decreto Legislativo n. 27/2021, varato dal Governo Conte, di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento Europeo 625/2017.

Detta abrogazione, avversata da più parti, sarebbe avvenuta il prossimo 26 marzo, con l’effetto di depenalizzare i reati previsti dagli artt. 5, 6, 12 e 12-bis di cui alla L. 283/1962

Come da Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 8 del 19 marzo 2021, il nuovo intervento normativo ha lo scopo di evitare “l’effetto abrogativo di tutte le disposizioni sanzionatorie di carattere penale e amministrativo di cui alla legge 30 aprile 1962, n. 283, realizzato con il decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27, nonché di alcuni articoli del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande“. Un’apprezzabile correzione che ha evitato un vuoto di tutela penale rispetto al settore agroalimentare.

→ L’importanza, sempre più rivestita nel tempo, del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo previsto dall’art. 6 del D. Lgs. 231/2001 che, ove adottato ed efficacemente attuato, consente all’Ente non solo di evitare l’applicazione delle sanzioni o, comunque, di ridurne la portata afflittiva, ma, altresì, di ottenere i seguenti significativi vantaggi:

  • Miglioramento del “rating della legalità”: con il maxi emendamento al decreto liberalizzazioni approvato nel mese di marzo 2012, è stato introdotto il “rating della legalità”, sistema premiante per le imprese più attente all’etica e alla legalità, volto a consentire un più agevole accesso a finanziamenti pubblici e al credito bancario.

Secondo quanto sancito dalla norma primaria di cui all’art. 5-ter del D.L. n. 1/2012, del punteggio di rating attribuito si tiene conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, di partecipazione a gare pubbliche per l’aggiudicazione di procedure di appalto o concessioni e di accesso al credito bancario.

  • Maggiore garanzia di affidabilità nelle relazioni con i partner commerciali: svariate società, specialmente quelle a partecipazione pubblica, richiedono oggi ai propri partner commerciali di dotarsi di un Modello Organizzativo;
  • Maggior protezione dei soggetti in posizione apicale: con l’adozione del Modello Organizzativo gli apicali possono dimostrare di aver fatto tutto quanto in loro potere per evitare la commissione di reati;
  • Oggettiva garanzia di rispetto di normative correlate: ad esempio, quelle sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, sull’ambiente, sulla finanza, ecc.;
  • Favor nella contrattazione con la Pubblica Amministrazione: l’articolo 93 del nuovo Codice degli Appalti e delle concessioni di cui al D. Lgs. n. 50/2016, in tema di garanzie per la partecipazione alle procedure di gare pubbliche, stabilisce che nei contratti di lavori, servizi e forniture, l’importo della garanzia e del suo eventuale rinnovo è ridotto del 30% per gli operatori economici in possesso di una certificazione del Sistema di gestione a tutela della Sicurezza e Salute dei Lavoratori e/o dell’attestazione del Modello Organizzativo Gestionale, ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.
  • Ritorno di marketing: l’adozione del Modello Organizzativo facilita il miglior posizionamento sul mercato dell’Ente, attraverso il contributo concreto alla diffusione della cultura della responsabilità e della prevenzione, con relativo riflesso anche sull’immagine aziendale e sulla sua percezione da parte dei diversi portatori di interesse (stackeholders) e terzi.

L’Ente è, dunque, interessato all’adozione del MOG per mettere in moto meccanismi virtuosi che possano condurlo a godere di un elevato grado di affidabilità, anche – e secondo la prospettazione originaria – agli occhi dell’Autorità Giudiziaria.

Con detto obiettivo il MOG ed i relativi oneri gestionali devono essere vissuti non come un peso od una costrizione, ma come una vera e propria occasione di sviluppo e crescita per la propria realtà aziendale.

Avv. Monica Binello

Saluzzo, 22 marzo 2021

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